Sentiero Lichtenfels (Piz Lech Dlace - Piz Boè)

SENTIERO ATTREZZATO LICHTENFELS (PIZ LECH DLACE – m 3009 / PIZ BOE’ – m 3152)

Gruppo montuoso: Dolomiti – Gruppo Sella

Grado di difficoltà globale: FACILE (Vai alla scala delle difficoltà).

Difficoltà tecniche: 1                                        

Esposizione: 2                                              

Impegno fisico: 3                                          

Dislivello assoluto: m 642 (Dislivello realmente coperto: m 800 circa)

Tempo di percorrenza: ore 3,45 globali

Punti di appoggio: Rifugio F. Kostner – Rifugio Capanna Fassa – Rifugio Forcella Pordoi – Rifugio Maria

L’escursione in breve: Stazione a monte della seggiovia del Vallon (m 2550) – punto basso (m 2510) – Sentiero Lichtenfels (segnavia 672) – Pizzo del Lago Gelato (Piz Lech Dlace – m 3009) – Forcella del Lago Gelato (m 2976) – Cresta Strenta – Forces dai Ciamorces (m 3110) - Piz Boè (Rifugio Capanna Fassa - m 3152) – Rifugio Forcella Pordoi (m 2829) – Rifugio Maria (Sass Pordoi – m 2950)

Accesso:

Dal paese di Corvara in Badia si prende la funivia (Cabinovia Boè) che conduce al Ristorante Boè (m 2198), presso la cima del Crep de Munt. Si cambia impianto di risalita passando sulla seggiovia biposto del Vallon che conduce sino a 2550 metri di quota.

Descrizione della ferrata:

Scesi dall’impianto a fune si intraprende il cammino verso sinistra, calando al sottostante Plan de Sass dove raggiungiamo in pochi minuti la quota minima della nostra escursione (m 2510). Siamo nel cuore del Gruppo Sella e siamo circondati da grandi pareti di dolomia. Verso oriente il paesaggio si apre sino a raggiungere il Monte Pelmo e il Monte Civetta mentre a breve distanza osserviamo il Rifugio Kostner con, alle sue spalle, la Marmolada e il suo ghiacciaio. Tralasciamo poco oltre le biforcazioni che conducono a sinistra al rifugio nonché il sentiero 638 che prosegue verso il Piz Boè. Passiamo invece sulla destra sul segnavia 672 con pannello in legno indicante il “Tru de Lichtenfels”. Il sentiero si riduce ad una sottile traccia che penetra nell’ombroso e stretto solco vallivo rimontando il ripido canalone caratterizzato da ghiaie e detriti. Il proseguo della marcia parrebbe precluso dal grande bastione roccioso che racchiude la testa della valle. In realtà la traccia si sposta sulla destra accostando la parete di roccia che andremo a scavalcare con la prima frazione attrezzata del percorso. E’ pertanto consigliabile indossare prontamente l’imbragatura e soprattutto il caschetto per difendersi dalla caduta tutt’altro che improbabile di pietre e detriti.

Dopo pochi metri su roccette non attrezzate piuttosto instabili (1° grado), andiamo ad afferrare le prime funi metalliche. Il tracciato, ben scelto e ricco d’appigli e appoggi, scavalca in esposizione ma senza troppe difficoltà una serie di paretine rocciose piuttosto articolate. Le funi assicurano in modo eccellente un tratto che altrimenti sarebbe invalicabile per i normali escursionisti. Spettacolare la visione alle spalle sul conoide ghiaioso rimontato per raggiungere l’attacco della via. Superata la frazione più ripida ed esposta la difficoltà decresce sino al termine degli infissi dove si procede su innocuo sentierino tra magre zolle erbose e affioramenti rocciosi. L’ambiente circostante appare impervio ed isolato, cosa gradita in un’area, quella dolomitica, spesso presa d’assalto dai turisti. Cambia ora direzione il proseguo del cammino. Eseguiamo un ampio semicerchio in senso antiorario passando alla base delle incombenti pareti della Cima Vallon per aggirare dall’alto l’intero solco vallivo. Il tracciato, dapprima su ghiaione inclinato, passa su roccia completando l’aggiramento su stretta cengia esposta. Questo tratto richiede piede fermo, specialmente con fondo umido, non essendo in alcun modo assicurato. Solamente il passaggio più stretto presenta una breve fune corrimano di pochi metri alla quale segue un nuovo traverso non assicurato in diagonale ascendente. Si tratta a nostro avviso del tratto che richiede nella salita maggiore cautela, soprattutto avendo al seguito persone con poca esperienza. Da rilevare l’estensione del paesaggio alla parte mediana della Val Badia con in vista il Monte Cavallo, Il Monte Lavarella e il Piz dles Conturines mentre desta sensazione osservare alle nostre spalle il percorso coperto sino ad ora. Aggiriamo verso destra un pulpito in coincidenza del quale torniamo ad ammirare il versante settentrionale della Marmolada con il suo ghiacciaio. Il segnavia 672 procede traversando su pendio ora decisamente meno esposto osservando davanti a noi, per la prima volta, la piramide rocciosa del Piz Boè. Il tracciato diviene ora semplice ed ampio superando alcune terrazze detritiche quasi in piano. Sulla destra siamo sovrastati dal tozzo cocuzzolo della Cima Vallon (Pizes dl Valun). Seguendo i chiari segnavia e gli ometti di pietre passiamo a sinistra di una modesta conca detritica quindi tralasciamo la traccia poco evidente che si separa (non segnalata) sulla destra e che condurrebbe alla Ferrata Vallon. Manteniamo invece il segnavia ricominciando a guadagnare quota in un panorama quasi lunare per via dell’assenza di vegetazione. In questo tratto così uniforme e con scarsi punti di riferimento sono stati aggiunti alcuni ometti di pietre come ulteriore riferimento. La pendenza si fa decisa e siamo sormontati dall’evidente piramide del Piz Lech Dlace che andremo a raggiungere a breve. Una digressione verso sinistra di poche decine di metri porta ad affacciarsi sulla dolina quasi circolare occupata dal piccolo Lech Dlace (Lago Gelato) che giace a 2833 metri di quota. Trae nome in modo evidente dal ghiaccio che spesso ne ricopre anche in estate, in parte o per intero, la superficie. Sulla destra il Piz Boé domina il paesaggio circostante. Ripreso il sentiero affrontiamo una frazione particolarmente faticosa per la pendenza assai marcata e il fondo detritico in parte molto instabile. Passiamo dai detriti alle roccette volgendo verso sinistra su cengetta in lieve esposizione. Raggiungiamo un ripido canalino esposto dove ritroviamo la fune metallica come assicurazione. E’ un breve tratto a seguito del quale, senza ulteriori difficoltà, guadagniamo la cresta sommitale quindi la cima del Piz Lech Dlace (Pizzo del Lago Gelato – m 3009). Da rilevare l’ampio panorama esteso ad una parte dell’altipiano sommitale del Sella al di là del quale cominciamo ad intravedere il Sassolungo. Si ripete la visione della Marmolada e del più vicino Piz Boè oltre a dominare il sottostante Lago Gelato. Bellissima la vista a distanza dei grandi massicci dolomitici del cortinese fra cui ricordiamo Sorapiss, Antelao, Pelmo e Civetta.

Il nostro cammino può ora proseguire perdendo brevemente quota per guadagnare in qualche minuto dalla cima la Forcella del Lago Gelato (m 2976). Nel proseguo andiamo a rimontare il ripido pendio detritico continuando a sovrastare dall’alto la conca occupata dal piccolissimo Lago Gelato. Il fondo, sebbene pietroso o comunque detritico, non offre in questo tratto particolari difficoltà permettendo di seguire in pratica il filo di cresta. Più in alto i detriti lasciano spazio alle rocce che caratterizzano la cosiddetta Cresta Strenta. Raggiungiamo una frazione impervia dove il segnavia obliqua a sinistra del crinale per evitare un tratto altrimenti troppo impegnativo per gli inesperti. Su sottile cengetta esposta aggiriamo un roccione dalla forma vagamente quadrangolare assicurandoci alla fune metallica che funge da corrimano. Le attrezzature assicurano anche il tratto successivo salendo in esposizione su roccia articolata sino a riprendere il filo di cresta con grande visione della Val Badia e delle Dolomiti cortinesi. Il Piz Boè appare ora a portata di mano mentre il grande altipiano del Sella è osservabile quasi nella sua interezza. Il vecchio sentiero prosegue a questo punto lungo l’articolato filo della Cresta Strenta mentre il nuovo tracciato, più semplice e comodo, passa a destra del crinaletto traversando tra i detriti in pratica senza dislivello. Guadagniamo il bivio con il sentiero che sale dal Rifugio Boè volgendo verso sinistra a termine del Sentiero Lichtenfels. Dopo tanta solitudine ci troviamo, nei mesi estivi, in mezzo alla schiera scomposta di turisti che salgono, spesso troppo numerosi, verso il Piz Boè. Tocchiamo la Forcella Dai Ciamorces (m 3110) dove andiamo a riunirci con il vecchio itinerario un po’ esposto che ricalca la Cresta Strenta. Ancora una volta si apre il panorama verso la Val Badia e le Dolomiti del cortinese. Senza fatica rimontiamo l’ultimo breve tratto sino a raggiungere il culmine del gruppo Sella. Siamo sulla vetta del Piz Boè in coincidenza della quale è presente il Rifugio Capanna Fassa, sempre gestito nella stagione estiva (m 3152 – ore 2,40 dalla partenza). Il paesaggio è il più vasto ed avvincente dell’escursione oltre ad essere uno dei punti più panoramici di tutte le Dolomiti.

Rientro alla partenza:

Per rientrare alla partenza si può seguire il sentiero 638 che, con tratti piuttosto impegnativi, cala dalla vetta del Piz Boè verso oriente riportando al Rifugio Kostner quindi alla stazione a monte della seggiovia. Avendo due automobili e portando la seconda al Passo Pordoi è possibile invece una splendida traversata. In questo caso si cala dalla vetta del Piz Boè sul sentiero 638 in direzione del Sass Pordoi affrontando frazioni detritiche e brevi salti rocciosi con alcune funi metalliche ad assicurare i tratti più esposti. Nei fine settimana di luglio e agosto l’eccessivo flusso turistico può provocare qualche attesa un po’ lunga nei tratti attrezzati dove spesso si ammassano persone con poca conoscenza della montagna e dell’escursionismo. Da rilevare la vista della Marmolada e del Sassolungo che accompagnano gran parte della discesa. Andiamo ad aggirare a destra la nuda piramide poco pronunciata della Punta de Joel quindi caliamo con un ultimo breve salto sino a confluire nel sentiero 627 che unisce il Rifugio Boè al Sass Pordoi. Lo seguiamo verso sinistra su tracciato ora ampio e facile che con pochi saliscendi taglia le pendici del Sass da Forcia all’estremità del grande altipiano sommitale del Sella. Ad inizio estate è frequente trovare in questo tratto campi innevati che scompaiono con il progredire della stagione. Raggiungiamo la marcata Forcella Pordoi in coincidenza della quale è presente l’omonimo rifugio, aperto e gestito nella bella stagione (m 2829 – ore 0,35 dalla vetta del Piz Boè – ore 3,30 dalla partenza).

Resta l’ultimo breve tratto di cammino: rimontiamo il ripido pendio su sentiero tra i detriti sempre ben segnato osservando alle spalle il Piz Boè sino al culmine del Sass Pordoi dove troviamo il Rifugio Maria e la stazione a monte della funivia (m 2950). Con la funicolare caliamo al Passo Pordoi dove ci attende la seconda automobile a termine della nostra fatica (ore 3,45 complessive)

Osservazioni – Caratteristiche della ferrata:

Piuttosto che di via ferrata è più corretto parlare di un lungo itinerario d’alta montagna con alcune frazioni esposte assicurate con funi metalliche. I tratti attrezzati sono semplici e brevi, senz’altro adatti per insegnare ai meno esperti come muoversi su ferrata. In condizioni di tempo buono si tratta di un’impresa magnifica, in grado di portare nel cuore delle Dolomiti e nello specifico del Gruppo Sella. Deve tuttavia essere considerato l’insieme dell’avventura in quanto si raggiungono e si superano i 3000 metri di quota, un ambiente che può farsi assai rischioso nel caso di un improvviso cambiamento meteorologico. Si tratta infatti di un itinerario nel complesso piuttosto lungo dove non è possibile mettersi al riparo in tempi rapidi dai fulmini e della nebbia. E’ bene pertanto valutare con accortezza quale giorno scegliere prestando la massima attenzione ai bollettini meteorologici. E’ infine possibile la presenza di nevai ad inizio stagione; inutile dire che il periodo migliore per eseguire la salita è quello compreso tra metà luglio e fine settembre.

Cenni sulla flora:

Chi, per la prima volta, si avventura sull’altipiano sommitale del Sella, resta senza parole di fronte all’aspetto quasi lunare dell’area. Nemmeno dai passi sottostanti (Pordoi, Sella, Gardena e Campolongo) si può immaginare quanto ampia e selvaggia sia questa immane distesa di pietra. Chi sale all’altipiano rimane sorpreso passando dalle sottostanti verdi vallate al soprastante deserto di rocce. Per capire il perché di un ambiente così singolare è bene non scordare che siamo oltre i 2500 metri di quota. L’itinerario raggiunge nel suo punto più elevato la piramide del Piz Boè, punto culminante dell’altipiano, toccando i 3152 metri. Le Dolomiti presentano altri settori ad altipiano (Puez, Pale di S.Martino…) ma il Sella tocca le quote più elevate con condizioni climatiche del tutto paragonabili a quelle artiche. A queste altitudini l’estate è estremamente breve mentre l’innevamento può persistere sino a luglio inoltrato con singoli nevai che possono mantenersi anche in agosto e in settembre quando ormai la nuova, lunga stagione invernale è ormai alle porte. Condizioni così estreme spiegano la quasi totale assenza di vegetazione; eppure, anche in un mondo di pietra così arido, è incredibile trovare alcune piante che nella brevissima estate alpina riescono a fiorire. Non si tratta di piante appariscenti: l’aspetto strisciante o la conformazione a pulvino è prevalente in quanto permette di resistere sia al forte vento che al carico della neve. Facendo attenzione, riuscirete a scorgerne diverse, spesso celate tra le pietre o al riparo dei massi, di solito in fioritura ritardata (mesi di luglio e agosto). Una veloce ricerca nel breve tratto compreso tra la Forcella Pordoi e il Sas Pordoi (Rifugio Maria) permette di osservarne alcune addirittura straordinarie per rarità. Le due più rilevanti sono senz’altro la Sassifraga di Facchini (Saxifraga facchinii) e la Draba delle Dolomiti (Draba dolomitica). In entrambi i casi si tratta di “specie relitte di nunatak”. “Nunatak” è un vocabolo di origine vichinga con cui si indicano in Groenlandia e nei mari artici le poche isole di roccia che emergono dalla banchisa o dai ghiacciai dell’isola. Si tratta in effetti delle uniche porzioni di crosta terrestre a non essere sommerse dall’immenso spessore della calotta glaciale. Nelle epoche passate, quando le glaciazioni interessarono le Alpi e le Dolomiti, tutte le valli furono sommerse dal ghiaccio per centinaia di metri e solo le cime più alte emergevano dalla calotta. In quell’epoca gran parte delle specie vegetali furono cancellate, incapaci di sfuggire alla morsa del ghiaccio. Solo pochissime specie riuscirono a salvarsi in loco rifugiandosi su quelle piccole isole rocciose che emergevano dalla calotta ghiacciata. E’ il caso di Saxifraga facchinii, Draba dolomitica e di poche altre specie identificate quindi con il vocabolo di “nunatakker”. Quando i ghiacciai si ritirarono i nunatakker si trovarono isolati sulle cime più alte delle montagne, incapaci di incrociarsi con altre specie dello stesso genere. Si tratta quindi di piante “relitte” di un epoca trascorsa quasi sempre molto rare ed endemiche. Saxifraga facchinii è infatti un endemismo stretto delle Dolomiti; Draba dolomitica ha un areale un po’ più ampio ma comunque sempre limitato a poche aree sommitali. 

Occorre osservare che tutti i nunatakker hanno, come quota inferiore del loro habitat, il limite superiore raggiunto dalla calotta durante le glaciazioni. Questo spiega perché Draba dolomitica e Saxifraga facchinii non scendono quasi mai al di sotto di un margine molto netto posto nelle Dolomiti più interne a circa 2500 metri. Al di sopra di questa altitudine raggiungono le vette comportandosi così in modo del tutto diverso rispetto alle specie non relitte. Queste ultime con la quota vanno rarefacendosi con limiti massimi di quota piuttosto “sfumati” e variabili a seconda del gruppo montuoso e dell’esposizione. Un’altra osservazione interessante risiede nella quasi totale assenza di Draba dolomitica e Saxifraga facchinii nelle Dolomiti Orientali: questo lascia pensare che la calotta glaciale ricoprisse addirittura le vette di questo settore mentre nelle Dolomiti Occidentali spuntavano dal ghiaccio pochi gruppi montuosi tra cui il Sella dove le piante poterono rifugiarsi sfuggendo alla morsa del gelo. Quando, camminando sull’altipiano del Sella, incontrerete i pulvini delle piante suddette ricordatevi che state osservando un miracolo della natura sopravvissuto alle intemperie di un ambiente selvaggio ed ostile. Draba dolomitica può essere confusa con Draba hoppeana, anch’essa presente sull’altipiano ma distinguibile per i fiori giallo zolfini. Draba dolomitica presenta invece fiori giallo pallido o bianco – giallastri e certi anni alcuni pulvini, al pari di Saxifraga facchinii, possono non riuscire neppure a fiorire se le condizioni climatiche non lo permettono.

Una veloce carrellata delle altre piante osservabili sull’altipiano e sulle pendici del Piz Boè comprende altri endemismi quali la Peverina dei ghiaioni (Cerastium uniflorum) dai bei fiori bianchi e Iberidella grassa (Thlaspi rotundifolia), pianta caratterizzata da splendidi petali violetti in grado, con le sue radici, di vivere in mezzo ai ghiaioni detritici mobili. Entrambe sono endemiche dell’arco alpino. Presso la Forcella Pordoi non faticherete a scorgere diversi cuscinetti di Potentilla lucida (Potentilla nitida) trapuntati di appariscenti fiori bianco rosati. Particolarmente rappresentato è il genere Saxifraga che, oltre alla Sassifraga di Facchini comprende anche, sull’altipiano del Sella, Sassifraga rossa (Saxifraga oppositifolia), Sassifraga setolosa (Saxifraga sedoides) e Sassifraga muschiata (Saxifraga moschata). Un occhio attento noterà i piccoli fiorellini bianchi dell’Iberidella alpina (Hornungia alpina), dell’Arabetta alpina (Arabis alpina) e i densi cuscinetti dell’Arenaria moehringioide (Arenaria gothica fr.moehringioides). Assai appariscenti sono inoltre le infiorescenze della bella Margherita alpina (Leucanthemopsis alpina) e del Papavero alpino retico (Papaver alpinum L. subsp. rhaeticum). La nostra breve rassegna di piante comprende un ulteriore endemismo delle Alpi Centro Orientali: si tratta del Millefoglio dei macereti (Achillea barrelieri subsp.oxyloba), la specie con il fiore più grande tra quelle del genere Achillea.

Vogliamo naturalmente ricordare che la prima parte dell’escursione si sviluppa al di sotto dell’altipiano sommitale del Sella permettendo l’osservazione d’ulteriori specie forse meno rare ma comunque di grande interesse per chi ama la flora alpina. Tra le principali osservate in occasione della nostra salita ricordiamo:

1)     Sassifraga verde azzurro (Saxifraga caesia)

2)     Sassifraga delle Dolomiti (Saxifraga squarrosa); endemica delle Alpi sud orientali appare molto simile, nell’aspetto, a Saxifraga caesia. La distinzione tra le due specie non è affatto semplice e non è d’aiuto l’osservazione dei fiori che in pratica sono quasi identici. Un elemento distintivo risiede nelle foglie, incurvate solo all’apice in S.squarrosa, curve ed aperte su tutta la lunghezza in S.caesia.

3)     Sassifraga solcata (Saxifraga exarata)

4)     Sassifraga gialla (Saxifraga aizoides)

5)     Poligono viviparo (Polygonum viviparum)

6)     Vulneraria (Anthyllis vulneraria)

7)     Cardo spinosissimo (Cirsium spinosissimum)

8)     Spillone alpino (Armeria alpina) presso Cima Bianca

9)     Draba dubbia (Draba dubia)    

10)  Silene a cuscinetto (Silene acaulis)

11)  Moehringia cigliata (Moehringia ciliata)

12)  Campanula di monte (Campanula scheuchzeri)

13)  Canapicchia di Hoppe (Omalotheca hoppeana); è una rara specie artico alpina osservabile presso l’attacco del sentiero 672, nei dintorni del Rifugio Kostner.

Queste sono solo alcune delle entità osservabili, ma speriamo che questa carrellata vi abbia convinto che il Sella, con le sue cime e il suo altipiano, non è poi così desertico come potrebbe apparire ad un’osservazione superficiale. Buona ricerca a tutti voi mostrando il massimo rispetto nei confronti della meravigliosa flora d’altitudine che anno dopo anno fiorisce sulle vette del Sella.

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