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PIZZO DI VALLOMBRINA (m 3222)
La salita al Pizzo di Vallombrina offre una straordinaria escursione grazie ad un ambiente d’alta quota caratterizzato da vedrette, torrenti glaciali e laghetti alpini. Sorprende la facilità con cui si raggiunge la cima senza toccare ghiacci e senza affrontare frazioni esposte; l’escursione ha inoltre inizio ad una quota considerevole grazie alla possibilità di salire in automobile sino al Passo Gavia. Il vantaggio è evidente permettendo di scavalcare i 3000 metri senza dover coprire dislivelli eccessivi. La quota notevole permette grandiosi panorami per l’intero sviluppo del cammino oltre alla presenza di alcuni laghetti ad impreziosire ulteriormente un’escursione già di per sé assai meritevole. Nel tratto sommitale sono presenti numerosi reperti risalenti alla prima guerra mondiale: dopo oltre un secolo i resti delle trincee sono ancora intatti come in un museo a cielo aperto. Eseguite questa splendida salita nella stagione estiva soprattutto da agosto in poi per la possibile presenza di resti nevosi che tendono a permanere talvolta sino a tutto luglio. L’escursione in breve: Rifugio Berni (m 2541) – Rifugio di Gavia (m 2522) – Lago Nero (m 2800) – Bivacco Capanna Battaglione Ortles (m 3122) – Pizzo di Vallombrina (m 3222) Dati tecnici: Partenza dal Rifugio Berni (m 2541): Difficoltà: E (Vai alla scala delle difficoltà). Segnaletica: totale sino al Bivacco Capanna Battaglione Ortles; discontinua e per lunghi tratti assente nel tratto successivo ma su percorso ben evidente e marcato con buona visibilità. Dislivello assoluto: m 702. Acqua sul percorso: assente (acqua di ghiacciaio non potabile per la presenza di sedimenti fini in sospensione). Accesso: Si risale con la SS 42 l’intera Val Camonica superando Edolo e Vezza d’Oglio per raggiungere Ponte di Legno. Poco oltre il paese abbandoniamo la statale che procederebbe verso il Passo del Tonale per volgere a sinistra in direzione del Passo Gavia. La strada, a tratti molto stretta ma comunque asfaltata, risale sino ai 2610 metri del valico presso il quale sono presenti i bellissimi Lago Nero e Lago Bianco. Procediamo oltre il passo superando il Lago Bianco per raggiungere in breve il Rifugio Berni (m 2541) posto a sinistra della carreggiata e presso il quale lasciamo l’automobile. In alternativa si può accedere alla partenza dal versante opposto salendo da Bormio a Santa Caterina Valfurva per proseguire in salita verso il Passo Gavia. In questo caso il Rifugio Berni è posto poco prima del passo, immediatamente a destra della strada. Rimarchiamo la pericolosità della strada tra Ponte di Legno e il Passo Gavia a tratti strettissima e adatta solo ad utilitarie prestando comunque la massima attenzione ad eventuali incroci con altre auto. Il transito è proibito agli autocarri, agli autobus, alle roulotte e ai camper. Più agevole appare la salita da Santa Caterina Valfurva. Descrizione del percorso: Sin dalla partenza godiamo di uno splendido panorama sulle montagne circostanti scorgendo fra l’altro un settore del ghiacciaio di Dosegù. Sul lato opposto della strada rispetto al Rifugio Berni notiamo l’ampia mulattiera che scende a scavalcare con un ponticello il Torrente Gavia. Notiamo la vecchia costruzione in stato d’abbandono del Rifugio Gavia (m 2522). Scavalcato il torrente tralasciamo il bivio sulla destra, segnalato dai cartelli, per la Vedretta e la Punta della Sforzellina mantenendo il segnavia 551 che tra lande erbose d’altitudine muove verso nordest guadagnando progressivamente altitudine. La quota elevata della partenza fa sì che non sia presente alberatura concedendo ampie visioni sui monti circostanti. Da rilevare nello specifico lo scorcio alle spalle sulle pendici del Monte Gavia mentre davanti a noi possiamo intravedere, lontana, la sagoma dell’Ortles. Sempre tra i prati magri tipici dell’alta quota guadagniamo un modesto culmine dove alcuni specchi d’acqua temporanei offrono lo spunto per splendide inquadrature fotografiche. Il percorso volge con maggiore decisione verso oriente perdendo decisamente quota in direzione del profondo vallone solcato dal Rio del Dosegù. La lingua terminale del Ghiacciaio del Dosegù è ora ben visibile caratterizzando il panorama di questo tratto di sentiero. Persi circa 100 metri di dislivello possiamo ora rasentare il torrente che resta immediatamente alla nostra sinistra. E’ il classico torrente glaciale come evidente dal colore marrone delle acque derivante dalla presenza in sospensione di sedimento originato dall’esarazione del ghiaccio sul substrato roccioso. Non è un caso se i torrenti glaciali non siano quasi mai potabili. Ne risaliamo per un breve tratto il corso senza mai scavalcarlo quindi riprende la salita lasciando alla nostra sinistra una bella cascata. Poco sopra, la particolare angolazione permette uno scorcio sulla lingua terminale del Ghiacciaio di Dosegù. Nonostante il forte ritiro sono ancora osservabili (estate 2017) alcuni serracchi in equilibrio precario sul salto sottostante. Su fondo detritico il segnavia volge ora deciso verso meridione guadagnando quota sul fianco sinistro di una bella conca. La salita conduce, senza difficoltà, al pianoro occupato dal modesto Lago Nero (m 2800 circa). Nonostante le dimensioni contenute si tratta di uno specchio d’alta quota caratterizzato da una straordinaria limpidezza delle acque. D’origine glaciale e alimentato, per lo più, dalle nevi invernali, offre nei giorni tersi magnifiche colorazioni e l’occasione pertanto di realizzare splendide fotografie. Il sentiero ne segue la sponda sinistra quindi lo lascia alle spalle scavalcando una rampa detritica più ripida che offre ancora, alle spalle, magnifici scorci. In pochi minuti siamo al margine di una seconda conca posta più in alto che ospita altri due piccoli laghetti glaciali. Si tratta di ciò che resta della Vedretta di Vallombrina, oggi in pratica scomparsa ma ancora indicata nelle cartine geografiche del secolo scorso. Il segnavia resta questa volta più lontano dalle acque ma anche in questo caso è possibile, per chi lo desidera, calare sino alle sponde senza via obbligata e soprattutto senza affrontare alcuna difficoltà. Nel proseguo del cammino affrontiamo il tratto più impegnativo dell’escursione. Il sentiero lascia spazio ad un tratto tra caotici accatastamenti di rocce instabili. Non vi sono tratti d’arrampicata né tanto meno settori esposti; il fondo richiede in ogni caso qualche cautela in più soprattutto in coincidenza di una frana che ha interrotto una frazione del percorso segnato (estate 2017). Il tratto si aggira senza troppa difficoltà dal basso, su gradoni ben appigliati, per riprendere poco oltre il tracciato ufficiale. Da rilevare il panorama progressivamente più vasto, alle spalle, sia sui sottostanti laghetti bordeggiati in precedenza che a distanza, osservando distintamente la sagoma scura del Corno dei Tre Signori. Bordeggiamo ciò che resta di alcune strutture in legno che risalgono all’epoca della prima guerra mondiale quindi, con un ultimo sforzo, siamo al Bivacco Capanna Battaglione Ortles (m 3122) a pochi metri dal crinale. La posizione è oltremodo panoramica, con le pendici del Pizzo di Vallombrina, nostra meta finale, in bella vista. Da rilevare, ancora una volta, le moltissime testimonianze della prima guerra mondiale evidenti nelle centinaia di metri di filo spinato arrotolato ancora presenti sia presso il bivacco che nelle montagne circostanti. Desta vera impressione riflettere sulle immani fatiche che furono necessarie per portare a queste quote materiale da costruzione e filo metallico per un’assurda guerra di posizione che fece più caduti per il clima artico delle vette che non per le armi. Il nostro percorso può ora proseguire oltre il bivacco. Perdiamo circa 20 metri di quota andando a toccare una selletta del crinale quindi, guidati da alcuni segnavia in vernice gialla, debordiamo a sinistra del filo di cresta per aggirare un tratto più impegnativo. Su cengia stretta ma ben evidente e priva di reali difficoltà procediamo alternando frazioni piane con altre in debole salita. Poco oltre la traccia di sentiero riprende la linea di crinale che appare ora più ampia e facile. Cominciamo a scorgere il settore superiore del Ghiacciaio di Dosegù. Superando ancora una volta sfasciumi e detriti guadagniamo infine il punto culminante del Pizzo di Vallombrina (m 3222 – ore 3,15 dalla partenza) sulla cui vetta troviamo ulteriori muretti e reperti risalenti al primo conflitto mondiale. Il paesaggio appare di straordinaria bellezza. L’elemento più interessante è dato, come già anticipato, dal Ghiacciaio del Dosegù che, nonostante la fase di forte ritiro, offre ancora la vista di una lunga lingua glaciale in parte serraccata. La vedretta appare sovrastata da alcune tra le più alte cime del Gruppo del Cevedale. Ricordiamo nello specifico il Pizzo Tresero (m 3594), la Punta Pedranzini (m 3599), la Cima Dosegù (m 3560) e la Punta San Matteo (m 3678). In direzione opposta rispetto al ghiacciaio e quindi verso sudovest rimarchiamo la vista del grande Corno dei Tre Signori mentre sotto la nostra verticale si ripete la visione dei tre laghetti sfiorati nel sentiero di salita. Il rientro avviene a ritroso per un totale di ore 5,40 di cammino. Cenni sulla flora:
L’escursione offre, sviluppandosi per intero oltre i 2500 metri, una ricca flora d’alta quota in fioritura per lo più ritardata al mese di agosto trattandosi di un settore dove il clima è quasi artico. I mille colori della breve estate alpina allieteranno la vostra salita aricchendo un’ascensione di per sé già straordinaria grazie ad un ambiente di eccezionale bellezza. Segue una breve lista delle specie più rilevanti osservate in occasione della nostra salita. 1) Eritrichio nano (Eritrichium nanum); bellissima pianta endemica delle Alpi che predilige gli sfasciumi e le rupi ad alta quota. Appare inconfondibile per le sue foglie ricoperte da una fitta peluria e per i fiori azzurri che ricordano quello del più comune Nontiscordardime. Sono presenti alcuni esemplari nel tratto sommitale compreso tra il Bivacco Capanna Battaglione Ortles e la cima 2) Primula vischiosa (Primula glutinosa); bellissimo endemismo del nordest dai fiori violetti raccolti in piccoli grappoli. Colonizza i macereti d’altitudine e le rupi. 3) Peverina dei ghiaioni (Cerastium uniflorum); è una pianta endemica dell’arco alpino dai magnifici fiori bianchi. 4) Raponzolo minore (Phyteuma globulariifolium subsp. pedemontanum) endemico dell’arco alpino. E’ una pianta nel complesso rara presente nel tratto sommitale dell’escursione a partire dai 3000 metri. 5) Senecio della Carnia (Senecio incanus sbsp. carniolicum). Endemico delle Alpi Orientali è presente in abbondanza nella prima parte di cammino. 6) Pedicolare di Kerner (Pedicularis kerneri) 7) Azalea alpina (Loiseleuria procumbens) 8) Sassifraga zolfina (Saxifraga bryoides) 9) Sassifraga solcata (Saxifraga exarata) 10) Veronica alpina (Veronica alpina) 11) Rododendro ferrugineo (Rhododendron ferrugineum) 12) Semprevivo montano (Sempervivum montanum) 13) Margherita alpina (Leucanthemopsis alpina) 14) Billeri pennato (Cardamine resedifolia) 15) Sassifraga a foglie opposte (Saxifraga oppositifolia) 16) Sassifraga stellata (Saxifraga stellaris) nei torrenti della parte iniziale del percorso. 17) Salice erbaceo (Salix herbacea) 18) Genziana punteggiata (Gentiana punctata) 19) Silene a cuscinetto (Silene acaulis) 20) Trifoglio bruno (Trifolium badium) nei prati presso la partenza 21) Cardo spinosissimo (Cirsium spinosissimum) 22) Spillone alpino (Armeria alpina) 23) Acetosella soldanella (Oxyria digyna) 24) Ambretta strisciante (Geum reptans) 25) Achillea moscata (Achillea moschata) 26) Arenaria biflora (Arenaria biflora) 27) Campanula di monte (Campanula scheuchzeri) 28) Campanula barbata (Campanula barbata) 29) Eufrasia minima (Euphrasia minima) 30) Raponzolo alpino (Phyteuma hemisphaericum) 31) Arabetta alpina (Arabis bellidifolia) 32) Piumino rotondo (Eriophorum scheuchzeri)
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