Piz Boè

PIZ BOE’ (m 3152)  

Parlare del Piz Boè significa raccontare la salita alla cima più alta e frequentata del gruppo Sella. Il Piz Boè si offre all’escursionista come il “3000” più facile delle Dolomiti. Purtroppo la sommità è deturpata dall’antiestetico Rifugio Capanna Fassa e da un ripetitore radio. Nonostante ciò il panorama di vetta è uno dei più belli ed avvincenti delle Dolomiti abbracciando cime a perdita d’occhio con particolare riferimento al Sassolungo e soprattutto alla Marmolada con il suo ghiacciaio. E’ senz’altro un’escursione consigliabile anche avendo mezza giornata a disposizione grazie alla funivia del Sas Pordoi in grado di ridurre notevolmente il dislivello in salita. Inutile sottolineare la possibilità di trovare neve e ghiaccio sino ad inizio estate trattandosi di un itinerario che si sviluppa interamente oltre i 2800 metri. Al tempo stesso sarebbe meglio evitare il mese di agosto e i fine settimana di luglio per via dell’affollamento eccessivo che caratterizza il sentiero di salita. Non potrebbe essere altrimenti per un “3000” così abbordabile. Sono in ogni caso da evitare giornate nebbiose, a rischio temporale o in presenza di fondo bagnato per la presenza di alcune brevi frazioni attrezzate che richiedono piede fermo. Notevole infine l’interesse botanico della zona: in coda alla descrizione trovate un ampio resoconto delle specie osservabili con particolare riferimento alle rarità e agli endemismi del settore.

L’escursione in breve:

Rifugio Maria (Sas Pordoi - m 2950) - Rif. Forcella Pordoi (m 2829) – Piz Boè (m 3152)

Dati tecnici:

Partenza dalla stazione a monte della funivia del Sas Pordoi (Rifugio Maria - m 2950): Difficoltà: EEA (Vai alla scala delle difficoltà). T sino alla Forcella Pordoi; EEA nel tratto successivo. Segnaletica: totale. Dislivello assoluto: m 323. Acqua sul percorso: assente ma con tre punti d’appoggio aperti nella stagione estiva: Rifugio Maria, Rifugio Forcella Pordoi e Rifugio Capanna Fassa in vetta al Piz Boè.

Accesso alla partenza:

L’escursione ha inizio in coincidenza del Passo Pordoi, raggiungibile dalla Val Fassa superando il paese di Canazei e risalendo sino al valico. Si accede alla partenza anche salendo da Arabba in una decina di chilometri sempre su comoda strada statale. Raggiunto il passo abbandoniamo l’auto e usufruiamo della funivia del Sas Pordoi salendo in pochi minuti sino al Rifugio Maria (m 2950).

Descrizione del percorso:

Il panorama che si gode dalla partenza appare di grandiosa vastità grazie al fatto che si distende davanti a noi l’immenso, brullo altopiano sommitale del Sella. Spicca naturalmente la larga piramide rocciosa del Piz Boè, nostro obiettivo finale, mentre più a destra ammiriamo due rilievi secondari posti al margine meridionale dell’altipiano; si tratta della Punta de Joel e del Sass da Forcia Ovest.

Il nostro percorso ha inizio muovendo in debole discesa verso oriente e, nei mesi di luglio e agosto, ci troveremo nel mezzo della scomposta schiera di turisti che muove verso il Piz Boè o che torna alla stazione a monte della funivia. Pochi minuti e raggiungiamo il salto che sovrasta la sottostante Forcella Pordoi. Il sentiero cala senza difficoltà lungo la china detritica. Di fronte a noi abbiamo il Sass da Forcia Ovest posto sulla verticale della Forcella Pordoi. Volgendo con lo sguardo ancora più a oriente notiamo la modesta piramide rocciosa della Punta de Joel parzialmente coperta dal Sass da Forcia Est. Ancora più a sinistra abbiamo il Piz Boè, con l’antiestetico rifugio posto sulla sua vetta, a dominare tutte le altre elevazioni. In questo “deserto” di pietra si resta stupiti scovando tra le rocce piante striscianti e incredibili fioriture d’alta quota alle quali faremo riferimento in coda alla descrizione.

Tornando al nostro itinerario raggiungiamo la stretta e marcata Forcella Pordoi (m 2848 – ore 0,15 dalla partenza) dalla quale osserviamo l’impressionante canalone ghiaioso che cala verso i sottostanti prati del Passo Pordoi. Quasi opprimenti appaiono le rupi verticali del Sass da Forcia Ovest che sovrastano la stretta selletta. E’ presente un bel rifugio sempre aperto nella bella stagione, molto utile per un eventuale approvvigionamento d’acqua.

Il nostro itinerario prosegue praticamente in piano mantenendo il segnavia 627 che traversa a mezza costa lasciando alla destra il trio di cime che caratterizzano il Sass da Forcia. In breve siamo ad un’importante biforcazione: a sinistra si proseguirebbe, sempre in falsopiano, verso il Rifugio Boè mentre nel nostro caso volgiamo a destra seguendo la traccia in direzione del Piz Boè. Si tratta come detto di una frazione in salita inizialmente poco impegnativa in quanto non troppo ripida e su tracciato tra i detriti sempre ben evidente. Da rilevare i magnifici scorci, sulla destra, in direzione della Marmolada con il suo ghiacciaio. Nel proseguo accostiamo e cominciamo a rimontare la piramide sommitale del Piz Boè con pendenza che diviene sostenuta. Alcuni salti rocciosi esposti sono ben attrezzati con funi metalliche. Il fiume di persone che assaltano questo tratto in luglio e in agosto potrebbe portare a sottovalutare la frazione. Certo la difficoltà non è eccessiva ma è comunque necessario avere piede fermo affrontando le roccette con fondo asciutto e buona visibilità. Le frazioni attrezzate sono brevissime e lasciano spazio ad un innocuo sentiero che guadagna infine la sommità del Piz Boè (m 3152 – ore 1,15 dalla partenza), punto culminante del Gruppo Sella e dell’escursione. Presso la vetta è presente il Rifugio Capanna Fassa, aperto nella stagione estiva.

La presenza del rifugio è purtroppo deturpante, in compenso il panorama è di immensa vastità permettendo di osservare gran parte dell’altopiano sommitale del Sella e numerosi gruppi dolomitici fra i quali ricordiamo, verso oriente, il Monte Cavallo, il Piz de Lavarela, le Tofane, Sorapiss, Antelao e il Monte Pelmo. Verso meridione notiamo la Marmolada mentre ad occidente si osservano il Catinaccio e il Sassolungo.

Possibile differente via di rientro (difficoltà EEA):

Attraverso la cresta nord del Piz Boè, scendiamo alla Forcella dai Ciamorces (m 3110) dove, al bivio, prendiamo il sentiero che scende ulteriormente sulla sinistra. Ripidamente, ma senza difficoltà, si raggiunge un’esile cengia attrezzata con funi d’acciaio e gradini di ferro: il tratto richiede piede fermo ma l’esposizione resta tutto sommato bassa. Ancora un piccolo valloncello dove i nevai si mantengono per buona parte dell’estate e infine siamo al Rifugio Boè (m 2871 – ore 0,40 dalla sommità del Piz Boè), nel mezzo dell’altipiano sommitale del Sella. Da qui con un lungo traverso a mezza costa tra pietraie rientriamo al Rifugio Forcella Pordoi (un breve tratto è assicurato anche qui con funi d’acciaio, utili in caso di terreno bagnato). Dalla Forcella Pordoi in breve salita siamo nuovamente alla stazione di arrivo della funivia a termine di uno splendido e non troppo lungo itinerario ad anello.  

Possibile discesa dal Rif. Boè a Passo Gardena (difficoltà EEA)

Dal Rifugio Boè si sale direttamente (segnavia n° 666), sempre su terreno roccioso, sulla tozza elevazione dell’Antersass (Zwischenkofel – m 2907 – ore 1,15 dalla partenza) per poi discenderlo tra i detriti del versante opposto sino a guadagnare l’ampia Forcella Antersass (m 2830).

N.B E’ possibile aggirare la cima Antersass seguendo poco oltre il Rifugio Boè il sentiero denominato Koburger Weg - cartello “sentiero difficile”) che traversa a sinistra della sommità su cengia assai esposta ma attrezzata con funi metalliche fisse fino a ricongiungersi al segnavia 666 in coincidenza della forcella Antersass.

Da notare, a destra della sella, l’impressionante baratro che si apre sulla sottostante Val Mezdì in una zona caratterizzata da alcuni curiosi pinnacoli rocciosi. Si procede per un breve tratto in moderata salita sino al bivio segnalato da cartelli: ignoriamo il segnavia 649 che conduce a sinistra in direzione della Ferrata Meisules e del Piz Miara per mantenere il sentiero 666 e risalire tra rocce e detriti sino al punto più elevato.

Abbandoniamo ora l’altipiano sommitale del Sella proseguendo in ripida discesa, su fondo sassoso instabile, nell’angusta Val de Tita sino a sboccare nella conca ai piedi della Cima Pisciadù. (Sella Val de Tita – m 2816). Trascurata la deviazione a destra per la vetta, proseguiamo tra nevai e pietraie sino a confluire nell’ampio Valun dl Pisciadù. Ci manteniamo sulla destra orografica della valle scendendo su roccette con un breve tratto esposto attrezzato con funi metalliche fisse. Proseguiamo in discesa sui ghiaioni in vista dello splendido lago Pisciadù sino a guadagnare il Rifugio Cavazza proprio in prossimità dello specchio d’acqua (m 2580 – ore 2 dal Rifugio Boè).

Dal rifugio Cavazza proseguiamo muovendo verso sinistra sull’altopiano detritico (direzione ovest) raggiungendo in pochi minuti il punto in cui il sentiero 666 cala a destra, molto ripido e angusto, nello stretto solco della Val Setùs. La parte superiore è attrezzata con funi metalliche e pioli praticamente continui a costituire una nuova breve frazione attrezzata. Nonostante l’ambiente tetro e ombroso, la difficoltà è soltanto psicologica: siamo infatti in discesa e la visione del fondo valle accentua in modo ingannevole il reale impegno. In realtà il terreno è ben gradinato rivelandosi molto più semplice delle apparenze. In breve si raggiunge il termine del tratto attrezzato spostandosi sul lato sinistro dello stetto solco; il proseguo è ora in ripida discesa nel ghiaione con possibili campi nevosi nella parte superiore sino ad estate inoltrata. Non vi è alcuna difficoltà se non la fastidiosa instabilità del fondo. In breve caliamo sino all’uscita dal severo e profondo vallone. Volgiamo a questo punto verso sinistra (sempre segnavia 666) con tracciato che porta facilmente al Passo Gardena traversando in falsopiano tra i pascoli alla base della parete del Sella. (un paio d’ore dal Rifugio Cavazza - ore 3,30 dal Rifugio Boè).

Cenni sulla flora:

Chi, per la prima volta, si avventura sull’altipiano sommitale del Sella, resta senza parole di fronte all’aspetto quasi lunare dell’area. Nemmeno dai passi sottostanti (Pordoi, Sella e Gardena) si può immaginare quanto ampia e selvaggia sia questa immane distesa di pietra. Chi sale all’altipiano con la funivia del Pordoi una volta raggiunta la stazione a monte (Sas Pordoi) rimane sorpreso passando dalle sottostanti verdi vallate al soprastante deserto di rocce.

Per capire il perché di un ambiente così singolare è bene non scordare che siamo a quasi 3000 metri di quota. L’arrivo della funivia è posizionato a 2950 metri ma la piramide del Piz Boè, punto culminante dell’altipiano, raggiunge addirittura i 3152 metri. Le Dolomiti presentano altri settori ad altipiano (Puez, Pale di S.Martino…) ma il Sella tocca le quote più elevate con condizioni climatiche del tutto paragonabili a quelle artiche. A queste altitudini l’estate è estremamente breve mentre l’innevamento può persistere sino a luglio inoltrato con singoli nevai che possono mantenersi anche in agosto e settembre quando ormai la nuova, lunga stagione invernale è ormai alle porte. Condizioni così estreme spiegano la quasi totale assenza di vegetazione; eppure, anche in un mondo di pietra così arido, è incredibile trovare alcune piante che nella brevissima estate alpina riescono a fiorire. Non si tratta di piante appariscenti: l’aspetto strisciante o la conformazione a pulvino è prevalente in quanto permette di resistere sia al forte vento che al carico della neve. Facendo attenzione, riuscirete a scorgerne diverse, spesso celate tra le pietre o al riparo dei massi, di solito in fioritura ritardata (mese di agosto). Una veloce ricerca nel breve tratto compreso tra il Sas Pordoi (Rifugio Maria) e la Forcella Pordoi permette già di osservarne alcune addirittura straordinarie per rarità. Le due più rilevanti sono senz’altro la Sassifraga di Facchini (Saxifraga facchinii) e la Draba delle Dolomiti (Draba dolomitica). In entrambi i casi si tratta di “specie relitte di nunatak”. “Nunatak” è un vocabolo di origine vichinga con cui si indicano in Groenlandia e nei mari artici le poche isole di roccia che emergono dalla banchisa o dai ghiacciai. Si tratta in effetti delle uniche porzioni di crosta terrestre a non essere sommerse dall’immenso spessore della calotta glaciale. Nelle epoche passate, quando le glaciazioni interessarono le Alpi e le Dolomiti, tutte le valli furono sommerse dal ghiaccio per centinaia di metri e solo le cime più alte emergevano dalla calotta. In quell’epoca gran parte delle specie vegetali furono cancellate, incapaci di sfuggire alla morsa del ghiaccio. Solo pochissime specie riuscirono a salvarsi in loco rifugiandosi  su quelle piccole isole rocciose che emergevano dalla calotta ghiacciata. E’ il caso di Saxifraga facchinii, Draba dolomitica e di poche altre specie identificate quindi con il vocabolo di “nunatakker”. Quando i ghiacciai si ritirarono i nunatakker si trovarono isolati sulle cime più alte delle montagne, incapaci di incrociarsi con altre specie dello stesso genere. Si tratta quindi di piante “relitte” di un epoca trascorsa quasi sempre rare ed endemiche. Saxifraga facchinii è infatti un endemismo stretto delle Dolomiti; Draba dolomitica ha un areale un po’ più ampio ma comunque sempre limitato a poche aree sommitali.

Occorre osservare che tutti i nunatakker hanno, come quota inferiore del loro habitat, il limite superiore raggiunto dalla calotta durante le glaciazioni. Questo spiega perché Draba dolomitica e Saxifraga facchinii non scendono quasi mai al di sotto di un margine molto netto posto nelle Dolomiti più interne a circa 2500 metri. Al di sopra di questa altitudine raggiungono le vette comportandosi così in modo del tutto diverso rispetto alle specie non relitte. Queste ultime con la quota vanno rarefacendosi con limiti massimi di quota piuttosto “sfumati” e variabili a seconda del gruppo montuoso e dell’esposizione.Un’altra osservazione interessante risiede nella quasi totale assenza di Draba dolomitica e Saxifraga facchinii nelle Dolomiti Orientali: questo lascia pensare che la calotta glaciale ricoprisse addirittura le vette di questo settore mentre nelle Dolomiti Occidentali spuntavano dal ghiaccio pochi gruppi montuosi tra cui il Sella dove le piante poterono rifugiarsi sfuggendo alla morsa del gelo. Quando, camminando sull’altipiano del Sella, incontrerete i pulvini delle piante suddette ricordatevi che state osservando un miracolo della natura sopravvissuto alle intemperie di un ambiente selvaggio ed ostile. Draba dolomitica può essere confusa con Draba hoppeana, anch’essa presente sull’altipiano ma distinguibile per i fiori giallo zolfini. Draba dolomitica presenta invece fiori giallo pallido o bianco – giallastri e certi anni alcuni pulvini, al pari di Saxifraga facchinii, possono non riuscire neppure a fiorire se le condizioni climatiche non lo permettono.

Una veloce carrellata delle altre piante osservabili sull’altipiano comprende senza dubbio altri endemismi quali la Peverina dei ghiaioni (Cerastium uniflorum) dai bei fiori bianchi e Iberidella grassa (Thlaspi rotundifolia), pianta caratterizzata da splendidi petali violetti in grado, con le sue radici, di vivere in mezzo ai ghiaioni detritici mobili. Entrambe sono endemiche dell’arco alpino. Presso la Forcella Pordoi non faticherete a scorgere diversi cuscinetti di Potentilla lucida (Potentilla nitida) trapuntati di appariscenti fiori bianco rosati. Particolarmente rappresentato è il genere Saxifraga che, oltre alla Sassifraga di Facchini comprende anche, sull’altipiano del Sella, Sassifraga rossa (Saxifraga oppositifolia), Sassifraga setolosa (Saxifraga sedoides) e Sassifraga muschiata (Saxifraga moschata). Un occhio attento noterà i piccoli fiorellini bianchi dell’Iberidella alpina (Hornungia alpina), dell’Arabetta alpina (Arabis alpina) e i densi cuscinetti dell’Arenaria moehringioide (Arenaria gothica fr.moehringioides). Assai appariscenti sono inoltre le infiorescenze della bella Margherita alpina (Leucanthemopsis alpina) e del Papavero alpino retico (Papaver alpinum L. subsp. rhaeticum).

Queste sono solo le entità più facili da osservare, ma speriamo che questa carrellata vi abbia convinto che l’altipiano del Sella non è poi così desertico come potrebbe apparire ad un’osservazione superficiale. Buona ricerca a tutti voi mostrando il massimo rispetto alla meravigliosa flora d’altitudine che anno dopo anno fiorisce sulle vette del Sella.

                                                               Cookie